Unable to connect, retrying...
Online collaborative whiteboard. Powerful, engaging with timer, emoji's, commenting and voting.
Search for RSS feeds

Portami il tramonto in una tazza.

  “Spesso nel corso della mia attuale vita mi sono ritrovato a porre a me stesso questa domanda: che senso ha vivere? Ho cercato di trovare risposte in ogni sfumatura della realtà, cercando di discernere tutti gli aspetti futili da quelli realmente importanti. Spesso ho pensato di abbandonare questa mia lunga e perigliosa ricerca. Spesso ho tentato di evadere da tutto ciò, per paura di rimanere poi deluso.  Poi ho trovato la risposta.  In un giorno di primavera.  Perché proprio la primavera ci si potrebbe chiedere? Casualità.O forse destino. Se destino può chiamarsi. Sapete quale significato ho trovato personalmente? Nessuno. Non esiste nessun senso. Mi spiego: non esiste nessun senso universale, assoluto.  Ognuno è libero di credere in qualcosa, in qualcuno.  Dal bambino che crede a Babbo Natale, all'adulto che crede fermamente ancora nel suo lavoro nonostante rischi di perderlo da un giorno all'altro.  C'è chi fa di un cantante la sua ragione di vita, chi di uno scrittore, di un attore, di un uomo di politica, chi di un cane, di un gatto, di una serie tv, chi in una foto ha lasciato una parte di sé, chi con una canzone ha conquistato la donna amata, chi con un canzone non ha fatto altro che giudicare gli altri, chi invece con una canzone ha salvato delle persone.  Tutti. Ma proprio tutti credono in qualcosa. Ma allora perché trovare un senso universale alla vita?  La vita cambia da persona a persona.  Per me il colore della speranza è il verde, per altri è il rosso.  Che differenza fa?  Ognuno esprime le tonalità della vita con un colore.  Ma allora perché giudicare chi vede il mondo con colori diversi dai nostri?  Forse sono i nostri ad essere sbagliati.  Chi può dirlo?  Ognuno vede il mondo con i colori che preferisce.  L'importante è non usurpare i colori altrui.  Ognuno è libero di vedere il mondo con i colori che preferisce. Anche tu.  Noi umani, sapete, siamo particolarmente egocentrici e scettici su ogni cosa. L'egocentrismo e lo scetticismo verso qualsivoglia forma di altruismo e solidale convivenza verso i propri simili, credo sia, oltre ragionevole dubbio, la sensazione secondo la quale un uomo, in una stanza buia, si preoccupa di accendere un lume solo per se stesso, che, benché gli dia una scarna visione delle cose lo preserva dal condividere una luce comune con tutti gli altri.  È questa la sintesi dell'uomo egocentrico, pur essendo a conoscenza del sacrificio che gli impone dover accontentarsi, accetta di farlo solo per se stesso, senza preoccuparsi né minimamente degnare di uno sguardo le persone che gli stanno attorno.  Se immaginassimo che in questa stanza buia ognuno dei presenti accenda un lume solo per se stesso, non formeranno pertanto queste piccole luci, un barlume di luce, che è in grado di illuminare ogni cosa?  E allora forse l'uomo egocentrico sarà indotto ad accorgersi che mettendo in comune le proprie aspirazioni e il proprio essere con gli altri, ne viene fuori qualcosa di straordinariamente inusuale e meraviglioso?  E allora forse cambierà la sua condizione?  Può un uomo egocentrico tentare di oltrepassare il limite che separa egli stesso dagli altri?  Forse sì.  Il segreto sta nel voler condividere l'esperienza del buio o della luce comune con gli altri, piuttosto che tentare di accendere un lume solo per se stessi, che oltretutto offre una vista parziale e limitata.  Inoltre ho scoperto che noi umani abbiamo costantemente paura.  Di ogni sfumatura della realtà. È la paura che ci condiziona, ci cambia, ci rende apparentemente forti, pur se siamo coscienti delle nostre immani debolezze.  Abbiamo paura anche delle cose che ci sono vicine ogni giorno.  Abbiamo paura di qualcosa che ci terrorizza solo per il semplice motivo di essere a noi sconosciuto, velato da quella sorta di mistero e dubbio. Letteralmente come "il buio oltre la siepe”, si ha paura di quell'oscurità a noi prossima solo per il semplice motivo di sembrare ignota e tentennante. Quando smuoveremo i nostri cuori ad apprezzare le cose per come appaiono?  Siamo aridi. Aridi dentro.  Incapaci di apprezzare le meraviglie del sole, del cielo, del fuoco, dell'amore, della vita.  Fin quando saremo di fronte a quella siepe e resteremo lì, inermi, senza fare un passo per paura dell'immensità sarà un continuo inferno, ed è un peccato, dietro quella siepe non v'è solo buio. Dappertutto si sente dire “Siamo la generazione”. Ma lo siamo davvero?  Piuttosto un caso, fortuito, un emblema, uno schema.  Siamo negli anni delle trasgressioni e sì, dei sentimenti.  Scevri di valore.  Non abbiamo la benché minima cognizione di cosa significhi vivere un un Paese che lotta, siamo inconsapevoli di ciò che accade attorno a noi, la politica, la questione islamica, le emergenze del millennio, senza un po’ di serietà, anche con il sarcasmo, ovviamente, ma non l'uno senza l'altro.  Ci prendiamo gioco di chi non è al nostro pari, di chi consideriamo inferiore, poi parliamo di non giudicare, di lasciare che ognuno esprima la propria opinione, sentiamo parlare da qualche parte, nei nostri dintorni oscuri, di libertà.  Libertà di pensiero, di stampa, di parola.  E poi, ogni giorno ce ne avvaliamo, ritenendo giusto che ogni opinione lo sia di diritto, giusta.  Libertà o libertinaggio?  Ci giustifichiamo. Ci appelliamo alla parola libertà, sembra quasi un appiglio a cui aggrapparsi.  Ma siamo consapevoli di cosa sia realmente. Il rispetto? Dove abita?  Nelle nostre case?  No. Non abita nelle nostre case. Non abita nelle nostre case quando insultiamo i nostri genitori.  Non conosciamo i rischi del lavoro, di guadagnare un pezzo di pane al giorno, con il timore che possa esaurirsi a poco a poco, come sabbia in una clessidra. È davanti ai nostri occhi. Eppure non può tornare indietro. Il tempo si è affievolito.  Ogni giorno un brandello di libertà viene usurpato.  Viene usurpato, quando, senza metterci la faccia, impieghiamo giornate ad insultare, a diffamare, ritenendo che le parole, le parole, sono quelle che possono digitarsi su uno schermo, senza un contatto, mani che si sfiorano, visi che si azzannano.  Non sappiano nemmeno come ci si arrabbia.  Eppure la rabbia bisognerebbe scaricarla, da qualche parte. Non abbiamo il coraggio di arrabbiarci, di prenderci a sassate, di rincorrerci a perdifiato, se non possediamo la sicurezza un indirizzo e-mail che ci protegga.  Ogni giorno uccidiamo una parola del nostro prezioso vocabolario, non rispettiamo i tempi verbali, gli accenti, ma poi, poi quando si tratta delle nostre care faccende, mettiamo l'apostrofo su ogni sfumatura che ci riguarda, che ci riguarda da vicino.  Non si esige una moralità da adulto, perché l'età, la nostra età è delicata, sfuggevole, ma la faccia, la faccia, almeno quella ce la sappiano mettere ogni tanto?  Idolatriamo persone che giocano sui nostri consensi, persone che non contribuiscono a cambiare questo paese, con l'arte, la bellezza sublime del teatro, la comicità di un tempo, il bel canto.  Dove è finta la comicità senza volgarità?  Un tempo, personaggi come Totò, Alberto Sordi, Charlie Chaplin, non avevano bisogno di giudicare, osannare, bestemmiare.  Era l'apoteosi del saper sorridere. Anche per un gesto, la mimica facciale.  Ma noi, noi sappiano cosa vuol dire la potenza di uno sguardo, di un lamento dolce?  Abbiamo bisogno di tanti consensi, ma per cosa saremo ricordati, un giorno?  Per aver offeso, insultato, annichilito, chi, diverso da noi, non ha cercato di raggruppare persone deboli, che come esche, si sono lasciate afferrare, nella rete dell'inganno.  Rifiutiamo ogni studio, ogni possibilità di mantenere un equilibrio in questo universo, ma un giorno, un maledettissimo giorno, chi ci curerà, chi laverà le nostre ferite, chi ci difenderà di fronte al nemico, chi costruirà le nostre case, chi si prenderà cura dei nostri amici, chi ci garantirà un futuro? Chi ci governerà?  O come governeremo?  Ci appelleremo forse alla boiate di massa, ai nostri cari video, ci appelleremo a qualche robot, qualcuno che pensi per noi, che parli per noi, qualcuno che smaltisca i nostri rifiuti tossici, qualcuno che batta le ciglia per noi?  Ma sappiamo quanto valore gli antichi davano persino ad un effimero battito di ciglia?  Quanta importanza si dava al lavoro, alle passioni, al vivere quotidiano.  E, noi, la nostra società, che combatte una seconda guerra fredda, sappiamo cos'è l'amicizia, per esempio?  Conosciamo la fedeltà?  Un tempo, in tempi remoti, la gente lasciava le porte di casa aperte, ci si fidava, esisteva chi garantiva che nessuno potesse usurpare il nostro piccolo mondo domestico, costruito con il sudore, con le ginocchia sbucciate, i polsi legati, ma con il sacrificio.  Il potere di sacrificare se stessi per l'altro, perché non soffrisse la fame.  Certo, diciamo di conoscere il misantropismo, ma ci siamo mai chiesti da dove derivi questa parola?  Da dove derivano le parole che utilizziamo? Un giorno non ci sarà nemmeno più bisogno dei vocabolari, le parole in uso saranno scarne ed essenziali, il nostro lessico sarà simile a quello di un neonato, qualche misero vagito.  Per attirare l'attenzione, magari.  Curiamo molto il nostro fisico, ma della nostra anima chi si prende cura? Parliamo di musica, di danza, di spettacolo, di divertimento.  Ma sappiamo divertirci anche senza un bicchiere in mano?  Sappiamo affrontare un dialogo con la persona che diciamo di amare, senza un mezzo che interceda per noi?  Ma noi, sappiano amare?  Amiamo una fine senza disperazione o una disperazione senza fine?  Piangiamo di notte, ma per chi, per che cosa?  Piangiamo se qualcuno ci ha rubato il nostro giocattolo, che magari fino a ieri ignoravamo?  Giochiamo, sì.  Giochiamo con i sentimenti, con le persone, con i sorrisi.  Sorridiamo all'inganno dei popoli, alle disgrazie altrui.  C'erano due vicini , una volta, non condividevano nessun sorriso, ma a loro modo sapevano rispettarsi. In realtà si odiavano. Il rispetto era solo una mera parvenza.  Una notte, un genio bussò alla porta di uno e gli chiese di esprimere un desiderio, che benché lo avesse fatto gioire, allo stesso modo, ma raddoppiato, si sarebbe propagato al suo vicino, che sarebbe stato appagato dei propri spasimi con maggiore felicità.  L'uomo allora pur di rinunciare al proprio desiderio, decise di rinunciare al proprio occhio, in modo che al vicino venissero tolti entrambi.  L'egoismo allo stato puro.  Ma noi davvero vogliamo rinunciare alla mirabile luce del sole, che brilla negli occhi altrui, davvero vogliamo che, come quell'uomo, il vicino sia disperato più di noi, perché in tal modo possiamo sentirci padroni di qualcuno, di qualcosa?  Ma siamo padroni di noi stessi, innanzitutto?  Chi siamo, noi?  Ora forse ti starai chiedendo quale mente folle vi è dietro a tutto ciò, ma soprattutto come osa parlare in questo modo nonostante la giovane età. Tempo al tempo, ora saprai tutto. O perlomeno un'effimera parvenza.  Sono un piccolo e incompleto essere vivente che lotta ogni giorno, come tutti, ma che giorno dopo giorno cade e si rialza, muore e rinasce, vive e pensa, pensa a come potrebbe essere con qualcosa in più, con un sorriso in più, con una parola in più. Me, me incompleto, me che sanguino, me che resuscito ora dopo ora, me che se avessi solo un paio di occhi in più mi sarei accorto molto tempo prima di quanto tutto sia solo un filo di ombre che si dipana nella realtà, di quanto tutto prende la piega ciò che abbiamo perduto, di quanto sia bastarda, testarda, ma meravigliosa la vita. Se solo avessi avuto un paio di occhi in più, non avrei fatto quella miriade di errori che mi hanno fatto diventare quello che sono oggi. Ma sono qui. Me. Me, infinito viaggiare.“Questo essere vivente che vi parla si chiama Lorenzo Pataro, ha sedici anni e abita in un piccolo paesino della Calabria. Amante della scrittura, del canto, del teatro, della poesia, amante dell'arte in generale. Il titolo del mio blog è una poesia bellissima di Emily Dickinson, che vi consiglio di leggere. Se volete inoltre  leggere qualcosa di mio che ho pubblicato vi consiglio la mia storia su Wattpad dal titolo "Un leone di seta e di ferro” e il mio racconto dal titolo “Storia di un violino e di un corallo” pubblicato nel libro “Uomini su carta volume due”. Grazie per esser passato di qui, il mio blog è a tua disposizione!  

Feed: Related: